La quinceañera è una festa tipica della tradizione ispanoamericana: il quindicesimo compleanno segna l’ingresso in società della ragazza ed è un momento importantissimo nella vita delle famiglie, che per organizzare una festa sontuosa risparmiano tutta la vita.
E così ha fatto anche Dante, immigrato illegale dal Messico, praticamente analfabeta, che vive da venticinque anni in Oregon. Dante, in più, doveva esaudire l’ultimo desiderio di sua moglie Beatriz, morta prematuramente un anno prima: aveva chiesto espressamente a suo marito di non dimenticarsi della festa dei quindici anni.
Ecco perciò arrivare Emmita, la festeggiata, in limousine, vestita riccamente, accolta da tantissime persone, compresi complessi musicali. Insomma, una festa davvero coi fiocchi.
Ma Emmita è annoiata, infastidita, finché a un certo punto non irrompe una banda di centauri che la porta via con sé. Dante troverà poi una lettera di sua figlia, che gli chiede di non cercarla, perché ha deciso di andarsene a vivere con il suo ragazzo, Johnny Cabada, per vivere una vita da ragazza americana quale sente di essere.
Dante non si dà per vinto, naturalmente, e nonostante i pareri contrari dei suoi conoscenti e della polizia stessa (che cerca di fargli capire che in un paese come gli Stati Uniti non è possibile vivere con una mentalità così retrograda e che la ragazza ha il diritto di scegliersi la sua vita, perché non è più una bambina), parte alla ricerca della figlia, accompagnato dall’asino Virgilio, che era stato il primo ad arrivare alla festa.
Durante il viaggio Dante ricorda, parlando con Virgilio come se fosse un caro amico capace di ascoltare e comprendere. Ricorda il suo ingresso negli Stati Uniti dopo mille tentativi di attraversare la frontiera, ricorda l’amore con la sua Beatriz, da cui è stato separato per dieci lunghi anni prima che lei potesse finalmente raggiungerlo negli USA.
Ma ci sono anche i ricordi di Emmita, studentessa brillante fin da bambina, dall’ottimo inglese nonostante i genitori parlino solo spagnolo, costretta però in una classe per bambini ispanici da un funzionario troppo zelante.
E ci sono altre storie, di altri messicani che hanno passato la linea, per lo più illegalmente. Alla fine tutte queste storie, in apparenza slegate, si riveleranno strettamente intrecciate fra loro.
La scrittura di González Viaña è leggera, ma solo apparentemente; il romanzo sembra quasi una musica, percorso com’è da corridos e fisarmoniche, eppure non mancano episodi bui, legati all’immigrazione clandestina ma anche alla malavita, al traffico di stupefacenti, agli ex militari di certe dittature non proprio terminate. Eppure, in tutto questo, lo scrittore – insieme a Dante – conserva la capacità di andare avanti, di sperare e anche di sorridere.
Memorabile al proposito è l’episodio in cui Dante sente due donne ridere a crepapelle e, contagiato, si unisce al loro riso, senza sapere perché stiano ridendo così di gusto. Alla fine glielo chiede e scopre che ridono perché una delle due ha perso il lavoro, e sono state sfrattate, ed è stato scoperto che i loro documenti sono falsi. «Perché piangere senza ridere fa male», spiega a Dante una delle due donne.
Eduardo González Viaña è nato in Perù nel 1941, ma vive e insegna da molti anni negli Stati Uniti. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nel 2007 a Più Libri Più Liberi, ed è oltretutto una persona simpaticissima.
Titolo originale: El Corrido de Dante
Titolo italiano: La ballata di Dante
Autore: Eduardo González Viaña
Traduttrice: Lucia Lorenzini
Casa editrice: Gorée
Pubblicazione originale: 2006
Numero di pagine: 306
Lingua originale: spagnolo