Cioran ha fama di “autore deprimente”. Invece, pare che molti lettori gli abbiano scritto per ringraziarlo di averli aiutati, con i suoi libri, a superare momenti difficili.
Da queste “conversazioni” (come recita il sottotitolo; è infatti una raccolta di interviste) emerge il ritratto di un uomo certamente disilluso, certamente scettico, ma non deprimente. Non cinico. «Il cinico» dice Cioran, «è spinto da una sete di negazione quasi viziosa, da una volontà di smascherare. C’è in lui qualcosa di diabolico, un gioco perverso dello spirito, estraneo alla ponderazione che è propria dello scettico o di quell’ansioso minore che è il disilluso».
I temi affrontati in 359 pagine di interviste sono tanti, anche se si nota una predilezione per certi argomenti che porta a una tendenza a ripetersi, che però non ha nulla di fastidioso.
Sorvolo sull’amore viscerale per la musica, che non è il mio campo. Sorvolo anche sull’interesse per la mistica, perché bisognerebbe addentrarsi in territori troppo complessi per me.
Quello che mi ha colpito maggiormente è innanzi tutto la percezione della noia. Non è un argomento facile neppure questo, ma certamente è la prima volta che leggo una descrizione tanto perfetta di uno stato tanto particolare.
La noia di cui parla Cioran non è quella che proviamo tutti quando aspettiamo due ore in fila a un qualsiasi sportello, né quella di un pomeriggio passato da soli in casa. Questa è una noia che dura mesi, e da cui sembra impossibile sollevarsi. L’autore ne parla come di uno staccarsi dal tempo, che sembra scollarsi da noi e porsi su una dimensione diversa, da noi non raggiungibile. Perciò sembra che il tempo smetta di scorrere, ed è una delle esperienze più stranianti che si possano immaginare.
Non è la noia che si può combattere con le distrazioni, la conversazione o i piaceri, è una noia che si potrebbe definire fondamentale; e che consiste in questo: più o meno bruscamente, a casa propria o in casa d’altri, o davanti a un bellissimo paesaggio, tutto si svuota di contenuto o di senso. Il vuoto è in noi e fuori di noi. L’intero universo è annullato. E niente più ci interessa, niente merita la nostra attenzione. La noia è una vertigine, ma una vertigine tranquilla, monotona; è la rivelazione della futilità universale, è la certezza, spinta fino allo stupore o fino alla chiaroveggenza suprema, che non si può, non si deve fare niente né in questo mondo né in quell’altro, non esiste al mondo niente che possa servirci o soddisfarci.
Nella noia il tempo non può scorrere. Ogni istante si dilata, e non si compie, per così dire, il passaggio da un istante all’altro. Ne consegue che si vive in una profonda non adesione alle cose. […] Nella noia il tempo si stacca dall’esistenza e ci diventa estraneo.
Questa coscienza del vuoto e della futilità universali, però, hanno la conseguenza positiva di annientare o quasi la paura della morte, poiché «se tutto è privo di realtà, perché non dovrebbe esserlo la morte?»
Altrettanto interessante, come emerge da questi passi ma anche dal resto del libro, è l’estrema lucidità che ha sempre accompagnato l’autore e che, lui dice giustamente, è stata la sua tragedia. Perché è proprio l’estrema lucidità, l’ipercoscienza, che porta ad estremizzare la riflessione e a sentire con peculiare, dolorosa intensità ciò che ci circonda – come, appunto, il passare del tempo.
In ogni caso, è questa estrema lucidità che ha portato Cioran a scrivere, poiché, infatti, egli scrive per ovviare ai suoi stati di malessere. Per cui il suo primo libro, Al culmine della disperazione, è interamente composto nelle lunghe notti d’insonnia che hanno tormentato l’autore poco più che ventenne, e allo stesso modo gli altri libri saranno scritti per dare voce a una sofferenza interiore. E per lo stesso motivo saranno pubblicati, perché a detta dell’autore con la pubblicazione ci si libera di tutto ciò che si è scritto – e perciò, nel suo caso, della sofferenza – e, svuotandosi, si può in certo modo superarlo.
Da qui anche la predilezione dell’autore per lo stile frammentario, aforistico, l’unico che rifletta ogni singolo aspetto dell’esperienza: e allora sì, si rischia di essere incoerenti (accusa che è spesso stata mossa a Cioran) ma è la vita stessa ad esserlo – per la precisione l’autore usa il termine «irresponsabile».
A volte gli intervistatori contestano a Cioran la sua giovanile adesione al fascismo: la giustificazione dello scrittore è che il suo era semplicemente un desiderio di opposizione al potere incarnato dal re, poiché in Romania, all’epoca della sua giovinezza, non c’era vera democrazia.
Argomento di estrema attualità, quello delle colpe giovanili degli intellettuali d’oggi; inevitabile per chi è vissuto in un secolo denso di dittature e totalitarismi come il Novecento. È un tema scottante, ma credo che l’opera letteraria (o musicale, insomma artistica in genere) debba essere considerata a parte rispetto alla biografia dell’artista. Di tutti gli artisti. Farei ovviamente una distinzione: ad esempio Leni Riefenstahl usava l’arte, il cinema nel suo caso, a scopo dichiaratamente celebrativo del regime nazista, e in quel caso è ovviamente impossibile separare opera e biografia.
In conclusione, un suggerimento d’autore a chi si avvicina per la prima volta all’opera di Cioran. Secondo l’autore il suo primo libro, Al culmine della disperazione, contiene già tutto ciò che ha detto in seguito. Il libro a cui è più affezionato è però L’inconveniente di essere nati:
Confermo ogni parola di questo libro, che si può aprire a qualsiasi pagina, e non è necessario leggere per intero. Sono affezionato anche ai Sillogismi dell’amarezza, per la semplice ragione che tutti ne hanno detto male. […] Ma tengo in modo particolare alle ultime sette pagine della Caduta nel tempo, che rappresentano quanto di più serio io abbia scritto. Mi sono costate molto, e in genere non sono state capite. Si è parlato poco di questo libro, benché, a mio avviso, sia il più personale e quello in cui ho espresso quanto mi stava più a cuore.
Titolo originale: Entretiens
Titolo italiano: Un apolide metafisico
Autore: E.M. Cioran
Traduttrice: Tea Turolla
Casa editrice: Adelphi
Pubblicazione originale: 1990
Numero di pagine: 359
Lingua originale: francese