Ray Bradbury, Fahrenheit 451

Era una gioia appiccare il fuoco.
Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia.

Sarà che mi piacciono gli avvii in medias res, a me pare uno degli incipit più potenti della letteratura, secondo solo al risveglio mattutino di Gregor Samsa.

La storia è ben nota. 451 °F è la temperatura a cui brucia la carta, ovvero, la temperatura a cui brucia per combustione spontanea. Scenario è infatti una società immaginaria ma non troppo, provvista del solito regime totalitario che con le sue bizzarrie la rende distopica quanto basta. Nel caso particolare, ovviamente, il punto centrale è la distruzione di tutti i libri imposta dal governo totalitario quasi per legge divina. Come sempre, perché tutti i divieti e le leggi emanate dai regimi sembrano provenire dall’alto dei cieli. Mezzo di informazione resta la televisione, come in 1984. O meglio, mezzo di non-informazione, o di anti-informazione, dal momento che i programmi trasmessi sono esclusivamente di intrattenimento, e di informazione non ce n’è proprio, tanto che nessuno sa come stanno realmente le cose là fuori, come sta andando la guerra che pure si combatte. Ma nella quale nessuno, ovviamente, muore.

Eppure, due volte nel romanzo si dice che di questo divieto dei libri non c’era in realtà alcun bisogno, perché la gente aveva smesso di leggere da sé. Leggendo sempre meno, sempre meno, fino a far scomparire del tutto questa attività. Il regime, in fondo, non ha fatto che prenderne atto e legiferare su qualcosa che nella pratica già c’era.

Ben noto è anche lo sviluppo, per cui il protagonista, Guy Montag, milite del fuoco, si ribella a seguito del tentativo di suicidio della moglie e della conoscenza con una ragazza del vicinato, che gli fa vedere quanto ci sia di bello nella natura, e che soprattutto gli mostra quanto egli sia infelice.

Si è detto che questo romanzo risente dell’influsso del maccartismo (il romanzo è del 1953, il maccartismo esplode nel 1950): possibile, visto appunto il periodo; l’atmosfera è altrettanto, anzi più pesante, la delazione è all’ordine del giorno. Io direi, comunque, che l’interpretazione, benché corretta, possa dirsi piuttosto parziale, dal momento che la delazione e il clima di insicurezza e paranoia sono presenti in pressoché tutti i regimi totalitari.

In ogni caso, i riferimenti storici sono molti: fortissimo ed evidentissimo è il richiamo ai roghi nazisti dei libri degli anni Trenta, c’è poi la paura della guerra nucleare.

Gli stilemi del genere distopico ci sono tutti: il regime, il divieto, il surrogato, la felicità imposta dall’alto, la necessità di far diventare tutti uguali, la paranoia, la delazione, la ribellione.

Quello che caratterizza questo romanzo è l’insistenza sul fuoco come elemento di distruzione e purificazione, e la proibizione del libro non in quanto parola scritta in sé, ma come elemento portante significato: elemento di conoscenza, di ricordo, di memoria, potremmo dire di apertura mentale. Perciò, Fahrenheit 451 è anche un inno al libro e alla letteratura.

Titolo originale: Fahrenheit 451
Titolo italiano: Fahrenheit 451
Autore: Ray Bradbury
Traduttore: Giorgio Monicelli
Casa editrice: Mondadori
Pubblicazione originale: 1953
Numero di pagine: 195
Lingua originale: inglese

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