Esther Kamatari è una top-model molto in voga negli anni Settanta e Ottanta, principessa burundese figlia del principe Ignace Kamatari e nipote del re Mwambutsa IV, che era suo zio. I rugo invece sono le abitazioni tradizionali burundesi.
È un’autobiografia molto particolare, che è anche la biografia di un paese, il Burundi.
Kamatari, nata nel 1951, parla dell’infanzia trascorsa nel suo paese amatissimo, parla delle tradizioni tipiche del Burundi, della sua famiglia reale, della scuola presso le suore missionarie (dunque bianche). Traccia il ritratto di un paese dove è bello vivere, dove la gente vive in armonia e ama la famiglia reale, che a sua volta ama il suo popolo. Il punto di vista dell’autrice è certamente quello di una privilegiata, ma le tradizioni di cui parla sono autentiche, come lo è l’amore che traspare per il paese e il popolo burundese. Kamatari parla di un paese bellissimo che viene proprio voglia di visitare, se non fosse che quel paese non esiste più, martoriato da anni di guerra.
In seguito all’assassinio del cugino Rwagasore, figlio del re, e del padre di Esther, la famiglia cade in disgrazia e non è più considerata con l’affetto con cui veniva vista prima, ma con diffidenza. Le basi sono infatti poste per l’indipendenza del Burundi e per la proclamazione della repubblica.
È così che, a 19 anni, Esther decide di scappare da un paese dove ormai non sente più amore e, all’insaputa della famiglia, va in esilio in Francia, dove non conosce nessuno. Sceglie la Francia sostanzialmente perché ne conosce la lingua (le lingue ufficiali del Burundi sono il kirundi e il francese) e perché un professore all’università l’ha fatta innamorare di quel paese lontano. Vuole evitare il Belgio perché è il paese dei colonizzatori.
E così parte, senza un soldo in tasca, perché in quanto principessa non ha l’abitudine di maneggiare il denaro e non ne conosce nemmeno il valore.
In Francia è così fortunata da incontrare una serie di persone che la aiutano, si innamora, ha una figlia e un giorno un amico le dice che dovrebbe fare la modella e la mette in contatto con un’agenzia. Così ha inizio la carriera di Esther Kamatari, che al contrario di tante sue colleghe non si sogna mai di dire che il suo è un lavoro duro o pieno di privazioni, ma anzi lo descrive con grande gioia e partecipazione.
La parte in cui Esther parla della sua carriera di top-model è in fondo la più breve, perché poi torna subito a parlare della tragedia del suo paese che, confinante col Ruanda, ha avuto la stessa sorte di massacri etnici fra Hutu e Tutsi, solo meno mediatizzata, come dice la stessa autrice. I media hanno deciso di concentrarsi sul genocidio ruandese, ma fra il 1992 e il 1993 (oltre che nel 1972) la sanguinosa guerra civile ha portato allo stesso risultato in Burundi, tanto che si parla anche di genocidio burundese.
Finita la carriera di top-model e ormai sposata con un medico che le ha salvato la vita dopo un brutto incidente, Esther Kamatari si dedica alla causa umanitaria e, riappacificatasi con il suo paese, inizia a volare in Burundi almeno quattro volte l’anno, sfidando anche l’embargo, per portare aiuti alla popolazione duramente colpita dalla guerra civile. Fonda anche un’associazione per aiutare i bambini rimasti orfani dopo i massacri e decide di assegnare un bambino per ogni rugo, cioè per ogni famiglia.
L’autrice narra dunque delle volte in cui ha organizzato spettacoli in Francia con artisti burundesi, pagati con materiale per i bambini (articoli di cancelleria, coperte, ecc.), di quando ha portato gli aiuti nel paese grazie alla collaborazione del Ministero francese per la Cooperazione, di quando ha cercato di aiutare vari bambini colpiti da terribili malattie causate dalla malnutrizione, dai traumi o dalle ferite subite. Ci racconta la storia dei piccoli Gilbert, Arcade, Emélyne, che ha portato in Francia per essere curati (ma non a tutti l’operazione è andata bene, in alcuni casi Esther ha dovuto riportare in Burundi una piccola bara).
Kamatari non si fa problemi a dire le cose come stanno, denuncia la miseria terribile che c’è in Burundi in seguito alla guerra civile, denuncia il governo che ha preferito comprare armi anziché investire sulla salute, condannando così a morte migliaia di bambini malati. Non si fa neanche problemi a dire che la divisione fra Hutu e Tutsi è una divisione artificiale creata dai belgi, che in Burundi non esistevano divisioni etniche prima dell’arrivo degli europei.
Esther Kamatari, con questo libro, ottiene l’effetto di farci innamorare del suo paese, un tempo così bello e ora ridotto in rovina da una guerra sanguinosa. E credo che fosse proprio l’effetto che voleva ottenere, credo che la sua idea non fosse tanto di raccontare la propria storia, sebbene il sottotitolo reciti proprio così, quanto la storia del suo paese, un paese che ama e che vorrebbe far amare anche ai suoi lettori.
Un libro che mi sento di consigliare di cuore a chiunque legga il francese, purtroppo non è disponibile in altre lingue (se non in olandese, ma non credo che questo aiuti molto il lettore italiano).
Titolo: Princesse des rugo
Titolo italiano: -
Autrice: Esther Kamatari
Casa editrice: Bayard
Pubblicazione originale: 2001
Numero di pagine: 258
Lingua originale: francese